Fino al 18 febbraio 2018, alla Biblioteca dell'Archiginnasio, sono esposti alcuni esemplari di libri stampati coi caratteri originali, forgiati da Griffo. Lì è raccontata anche la sua storia.
La faccenda dello stile italiano, apprezzato ovunque per la sua eleganza, è molto antica e non so esattamente quando abbia avuto inizio. In campo tipografico però abbiamo delle certezze e sappiamo che in tutto il mondo, per dire di un carattere che è "corsivo", si usa la parola Italic.
Italico era il bolognese, vissuto tra la metà del 1400 e i primi decenni del 1500, che lo creò.
Francesco Griffo era un orefice, aveva dimestichezza coi metalli, visse in diversi Paesi (Venezia, Roma, Bologna erano allora appartenenti a Stati diversi, ognuno con la sua lingua) ed ebbe in moglie una donna dalmata. Di lui sappiamo anche che era un tipo altamente infiammabile, tanto che venne condannato a morte per omicidio.
Forse l'idea di una font a imitazione della grafia umana venne al coltissimo Aldo Manuzio, l'editore che commissionò a Griffo i caratteri per la sua stamperia. Fatto sta che per la prima volta comparvero volumi stampati con lettere di quel genere. Le pagine avevano un aspetto nuovo, i formati diventavano più piccoli e il libro iniziava ad essere qualcosa che potevi spostare dal leggìo, per averlo con te dovunque. Non era solo una questione di forma, la lettura diventava proprio un'esperienza diversa da prima.
Le Aldine rivoluzionarono la comunicazione a stampa a tal punto da venire presto imitate dagli editori concorrenti che misero in circolazione copie taroccate. Proprio come ora si fa con gli smartphone di ultima generazione. Manuzio era in paranoia.
Qui sopra è riprodotto il primo volume di questo tipo, rarissimo. In questo caso il formato è ancora di quelli grandi. Le pagine sono piene di glosse annotate a mano e la differenza tra la stampa e gli appunti è minima, rispetto a testi precedenti.
Queste pagine dimostrano che, per quanto un libro sia prezioso, esso è prima di tutto uno strumento di studio e come tale viene usato, anche da persone dotte. I margini così ampi non erano solo una questione di equilibri formali, ma servivano ad espandere il testo con le annotazioni.
A un certo punto la collaborazione tra Griffo e Manuzio salta. Pobabilmente il primo era corteggiato dai concorrenti di Aldo e i due ebbero dei conteziosi per questo motivo. Nel 1516 Francesco Griffo torna a Bologna e si mette in aperta concorrenza, aprendo una sua stamperia. La presenza dell'università rendeva la città un posto ideale dove pubblicare libri.
A un certo punto Griffo sbrocca e uccide il genero. Nel 1518 viene condannato a morte dal tribunale di Bologna e in mostra è esposta la pergamena che riporta la sentenza (qui sopra la foto). Anche quella è in un bellissimo corsivo, ma redatto a mano e dal cancelliere.
Nonostante la tragedia, Francesco ebbe comunque dei discendenti che continuarono l'impresa familiare per varie generazioni.
Nel 1565 un suo nipote aveva la bottega in piazza Maggiore e venne fatto sloggiare dal comune, per poter costruire la fontana del Nettuno.
Agli inizi del 1700, due secoli dopo la sua morte, c'era ancora un familiare del Griffo a stampare libri sotto i portici dell'Archiginnasio, proprio vicino a dove si trova, ancora oggi, una storica libreria.
Bello ricordare tutte queste cose, quando si passeggia per le vie di Bologna.